Il Mondo visto a piccoli numeri nei luoghi di transito, dove le esistenze si scambiano e si mescolano in un andirivieni circolare e indefinito. Il Mondo come Vita e Vita come movimento, rumore. Sporco. Che cos’è il Mondo se non una intricata quanto infinita serie di relazioni, di qualunque intensità, di qualunque entità. Abitato da esseri che sembrano solo subirlo, rispondendo agli stimoli ricevuti di volta in volta attraverso i medesimi meccanismi consolidati dall’età e dall’esperienza e tramutati dalla presunzione di ritenere irreale qualcosa finché non lo si può vedere, toccare o sperimentare in un delirante affanno empirico. Ma il Mondo non è questo, questo è solo il pianeta degli Uomini, riempito a forza di creature immerse nella loro miseria fino al primo accenno di Vera Luce, finché l’intelletto e l’anima non si trovano concordanti nel sentire del cuore e dei sensi. Il mondo sensibile reso vivo dalla inesauribile fallacia dell’umano percepire.
Allora il Mondo non è questo. Il presente è semplicemente storia degli uomini di domani; che passa, che attraversa il tempo circolare, prigioniero delle sfere e carnefice degli esseri di carne che lo incatenano al polso e lo attraversano in piccoli gruppi, disperatamente omogenei, disperatamente alla rincorsa di se stessi intorno al cerchio che hanno disegnato di proprio pugno per imprigionare il Tempo; ignari della sua efferata vendetta della durata di una intera vita.
Uomini dalla memoria corta, uomini che dimenticano altri uomini perché non più utili ai propri scopi e uomini che dimenticano anche loro stessi. Persi nell’assenza del ricordo, nelle bugie della memoria. Tutti indiscriminatamente impegnati in una corsa affannata verso l’ultimo respiro dell’ultimo degli uomini, nell’ultimo istante in cui il Tempo sarà ancora prigioniero della ragione.
Abbiamo solo imparato ad imporci. Ovunque, senza criterio né considerazione; senza rispetto. Siamo cresciuti, ci siamo allargati in tutto lo spazio a disposizione calpestando fili d’erba e disturbando gli uccelli al nostro passaggio. Ovunque lo sguardo gravido di desiderio ponesse la sua attenzione ignorando l’essenza e preferendo il nome al contenuto; spesso tradendo anche le parole che noi stessi abbiamo inventato per delimitare i confini dell’intero creato. Nomi differenti per identici oggetti, sensazioni, paesaggi e creature: la Babele autoinflitta, accuratamente scelta e curata in ogni sfumatura. Una diversità che impoverisce invece di arricchire, una diversità che gonfia solo le parole di chi la elogia per trarne vantaggio momentaneo.
Fieri inventori di tutto il superfluo inventabile, di tutti quei graziosi orpelli con cui abbiamo scelto di arredare le nostre vite, con cui abbiamo scelto di condire la comunicazione e delimitare i confini fra noi e gli altri. Fieri e soli per nostra stessa mano. Fieri inventori solitari di tutto quel superfluo che la Natura aveva saggiamente lasciato da parte. Perennemente in fuga da noi stessi, cercando il Sole, trovando l’ombra al suo posto; scoprendo che, in fondo, è tutta un’illusione. Perché, alla fine, non c’è fuga, non c’è ombra; quasi non c’è neanche il Sole. Tutti e nessuno nel gioco infinito di piacersi in questa danza vuota ed immobile intorno a quell’unico desiderio.
Ogni uomo, donna o bambino a chiedere per se ciò che non è disposto ad offrire per primo. E l’importante è che sia roba di ogni giorno.
G.G.
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